Domenica 2 Maggio 2021
Cristiani innestati in Gesù che hanno portato molto frutto…
“Io sono la vite, voi i tralci” (Giov. 15,5)
«La felicità non consiste nell’accumulare ricchezze, ma nel regalarle e condividerle: un gesto, un sorriso, un aiuto agli altri».
Nadia Munari, la volontaria di Schio uccisa a Chimbote, in Perù, nei giorni scorsi, quelle parole – dette a una radio peruviana tempo fa – le ha rese carne. Vita vissuta. Dei suoi 50 anni, più di metà li ha passati a servizio dei poveri.
Quando l’Organizzazione umanitaria “Mato Grosso” decise di aiutare i poveri di Chimbote con una casa famiglia per ragazzi di strada e degli asili, ci voleva un responsabile, e nessuno si fece avanti. Finché Nadia disse a padre Ugo: «Se vuoi, vado io». Quel «Vado io» è il rifiuto dell’analisi teorica a vantaggio delle maniche rimboccate, significa non attendere le condizioni più propizie (che per gli indecisi non arriveranno mai), in favore di un impegno in prima persona.
«Vado io» fu l’ultima frase pronunciata da padre Daniele Badiali, un altro missionario proveniente da Faenza, la sera in cui, era il marzo 1997, il suo rapitore fermò la jeep sulla quale egli era a bordo con altri otto. Padre Daniele bloccò la ragazza destinata a essere presa in ostaggio, dicendo: «Tu rimani. Vado io».
A partire da sabato, le centinaia di volontari dell’Operazione Mato Grosso disseminati in America Latina aggiungeranno il nome di Nadia alla preghiera quotidiana, rivolta ai «martiri della carità» Daniele Badiali e Giulio Rocca, quest’ultimo ucciso dai terroristi di Sendero Luminoso nel 1992. Proprio Giulio, che era stato trasformato dalla compagnia di padre Ugo e dalla vita con i poveri al punto da chiedere di entrare in seminario (lui, partito ateo dalla sua Valtellina!), ha lasciato lettere che riecheggiano le parole di Nadia: «Dare via! Dare ai poveri, aiutare gli altri, dando prima le nostre cose e il nostro tempo, poi sempre di più, fino a dare tutto, ma proprio tutto, fino a darsi completamente. Che vuol dire lasciarsi mettere in Croce». Spesso ho sentito definire «esagerata» la passione per i poveri che li muove. Sì, è esagerata. Ma solo per chi non ha capito che a muovere
questi ‘sessantottini del Vangelo’ sono gli stessi, genuini ideali che scossero le migliori energie all’epoca (era il 1967) in cui padre Ugo diede vita a una straordinaria avventura di carità che ancora dura. Quando disse il suo ‘sì’, Nadia era a Chambara, sulle Ande: aveva il ‘suo’ asilo e le ‘sue’ maestre. Avrebbe potuto farseli bastare. Si è presa in carico sei asili là, nelle baraccopoli di Chimbote, buttandosi nella nuova avventura con entusiasmo, con il desiderio profondo e bruciante di spendersi. Totalmente, senza riserve. Nonostante i propri, inevitabili limiti. Nonostante la carità possa dare fastidio ai potenti e a chi detiene il monopolio della violenza. «Siamo in un campo minato», racconta un volontario dal Perù. Oggi il dolore è un’onda che pare uno tsunami. I dubbi affollano la mente, gli interrogativi assediano il cuore. Perché? Perché un innocente deve morire, mentre dà tutta se
stessa per gli ultimi? E ora, che fare? Rimanere o andarsene? Le stesse, implacabili domande che l’Omg si trovò ad affrontare il giorno dopo l’uccisione di Giulio e di Daniele. Ma le parole di Nadia continuano a risuonare: « Aiutiamoci a essere contenti in un mondo dove pochi lo sono » . Risuonano come un invito. Come un appello.
Fazzini, dal quotidiano Avvenire del 27 aprile 2021)
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