Io sono il pane vivo, disceso dal cielo

 

 

In questa domenica prosegue la lettura del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, in cui Gesù, dopo aver compiuto il grande miracolo della moltiplicazione dei pani, spiega alla gente il significato di quel “segno” (Gv 6,41-51).

Come aveva fatto in precedenza con la Samaritana, partendo dall’esperienza della sete e dal segno dell’acqua, qui Gesù parte dall’esperienza della fame e dal segno del pane, per rivelare Sé stesso e invitare a credere in Lui.

La gente lo cerca, la gente lo ascolta, perché è rimasta entusiasta del miracolo – volevano farlo re! -; ma quando Gesù afferma che il vero pane, donato da Dio, è Lui stesso, molti si scandalizzano, non capiscono, e cominciano a mormorare tra loro: «Di lui – dicevano – non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo?”» (Gv 6,42). E cominciano a mormorare. Allora Gesù risponde: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato», e aggiunge: «Chi crede ha la vita eterna» (vv. 44.47).

Ci stupisce, e ci fa riflettere questa parola del Signore. Essa introduce nella dinamica della fede, che è una relazione: la relazione tra la persona umana – tutti noi – e la Persona di Gesù, dove un ruolo decisivo gioca il Padre, e naturalmente anche lo Spirito Santo – che qui rimane sottinteso. Non basta incontrare Gesù per credere in Lui, non basta leggere la Bibbia, il Vangelo – questo è importante!, ma non basta -; non basta nemmeno assistere a un miracolo, come quello della moltiplicazione dei pani. Tante persone sono state a stretto contatto con Gesù e non gli hanno creduto, anzi, lo hanno anche disprezzato e condannato. E io mi domando: perché, questo? Non sono stati attratti dal Padre? No, questo è accaduto perché il loro cuore era chiuso all’azione dello Spirito di Dio. E se tu hai il cuore chiuso, la fede non entra. Dio Padre sempre ci attira verso Gesù: siamo noi ad aprire il nostro cuore o a chiuderlo. Invece la fede, che è come un seme nel profondo del cuore, sboccia quando ci lasciamo “attirare” dal Padre verso Gesù, e “andiamo a Lui” con il cuore aperto, senza pregiudizi; allora riconosciamo nel suo volto il Volto di Dio e nelle sue parole la Parola di Dio, perché lo Spirito Santo ci ha fatto entrare nella relazione d’amore e di vita che c’è tra Gesù e Dio Padre. E lì noi riceviamo il dono, il regalo della fede.

Allora, con questo atteggiamento di fede, possiamo comprendere anche il senso del “Pane della vita” che Gesù ci dona, e che Egli esprime così: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). In Gesù, nella sua “carne” – cioè nella sua umanità concreta – è presente tutto l’amore di Dio, che è lo Spirito Santo. Chi si lascia attirare da questo amore va verso Gesù e va con fede, e riceve da Lui la vita, la vita eterna.

Colei che ha vissuto questa esperienza in modo esemplare è la Vergine di Nazaret, Maria: la prima persona umana che ha creduto in Dio accogliendo la carne di Gesù. Impariamo da Lei, nostra Madre, la gioia e la gratitudine per il dono della fede. Un dono che non è “privato”, un dono che non è proprietà privata ma è un dono da condividere: è un dono «per la vita del mondo»!

Angelus di Papa Francesco, 8 agosto 2021

 


La chiesa è chiusa da lunedì 29 luglio fino a metà settembre per completare i lavori di ristrutturazione, in particolare per l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento.

Le SS. Messe e tutte le celebrazioni si svolgono presso l’Auditorium (Oratorio Parrocchiale – via Fratelli Cervi)

Orario SS. Messe (in Auditorium):

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12, 18

 

Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

 

 

La scena iniziale del Vangelo, nella Liturgia odierna (cfr Gv 6,24-35), ci presenta alcune barche in movimento verso Cafarnao: la folla sta andando a cercare Gesù. Potremmo pensare che sia una cosa molto buona, eppure il Vangelo ci insegna che non basta cercare Dio, bisogna anche chiedersi il motivo per cui lo si cerca. Infatti, Gesù afferma: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (v. 26). La gente, infatti, aveva assistito al prodigio della moltiplicazione dei pani, ma non aveva colto il significato di quel gesto: si era fermata al miracolo esteriores>, si era fermata al pane materiale: soltanto lì, senza andare oltre, al significato di questo.

Ecco allora una prima domanda che possiamo farci tutti noi: perché cerchiamo il Signore? Perché cerco io il Signore? Quali sono le motivazioni della mia fede, della nostra fede? Abbiamo bisogno di discernere questo, perché tra le tante tentazioni, che noi abbiamo nella vita, tra le tante tentazioni ce n’è una che potremmo chiamare tentazione idolatrica. È quella che ci spinge a cercare Dio a nostro uso e consumo, per risolvere i problemi, per avere grazie a Lui quello che da soli non riusciamo a ottenere, per interesse. Ma in questo modo la fede rimane superficiale e anche – mi permetto la parola – la fede rimane miracolistica: cerchiamo Dio per sfamarci e poi ci dimentichiamo di Lui quando siamo sazi. Al centro di questa fede immatura non c’è Dio, ci sono i nostri bisogni. Penso ai nostri interessi, tante cose… È giusto presentare al cuore di Dio le nostre necessità, ma il Signore, che agisce ben oltre le nostre attese, desidera vivere con noi anzitutto una relazione d’amore. E l’amore vero è disinteressato, è gratuito: non si ama per ricevere un favore in cambio! Questo è interesse; e tante volte nella vita noi siamo interessati.

Ci può aiutare una seconda domanda, quella che la folla rivolge a Gesù: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (v. 28). È come se la gente, provocata da Gesù, dicesse: “Come fare per purificare la nostra ricerca di Dio? Come passare da una fede magica, che pensa solo ai propri bisogni, alla fede che piace a Dio?”. E Gesù indica la strada: risponde che l’opera di Dio è accogliere Colui che il Padre ha mandato, cioè accogliere Lui stesso, Gesù. Non è aggiungere pratiche religiose o osservare speciali precetti; è accogliere Gesù, è accoglierlo nella vita, è vivere una storia d’amore con Gesù. Sarà Lui a purificare la nostra fede. Da soli non siamo in grado. Ma il Signore desidera con noi un rapporto d’amore: prima delle cose che riceviamo e facciamo, c’è Lui da amare. C’è una relazione con Lui che va oltre le logiche dell’interesse e del calcolo.

Questo vale nei riguardi di Dio, ma vale anche nelle nostre relazioni umane e sociali: quando cerchiamo soprattutto il soddisfacimento dei nostri bisogni, rischiamo di usare le persone e di strumentalizzare le situazioni per i nostri scopi. Quante volte abbiamo sentito da una persona: “Ma questa usa la gente e poi si dimentica”. Usare le persone per il proprio profitto: è brutto questo. E una società che mette al centro gli interessi invece delle persone è una società che non genera vita. L’invito del Vangelo è questo: piuttosto che essere preoccupati soltanto del pane materiale che ci sfama, accogliamo Gesù come il pane della vita e, a partire dalla nostra amicizia con Lui, impariamo ad amarci tra di noi. Con gratuità e senza calcoli. Amore gratuito e senza calcoli, senza usare la gente, con gratuità, con generosità, con magnanimità.

Preghiamo ora la Vergine Santa, Colei che ha vissuto la più bella storia d’amore con Dio, perché ci doni la grazia di aprirci all’incontro con il suo Figlio.

Angelus di Papa Francesco del 1 agosto 2021

 


La chiesa è chiusa da lunedì 29 luglio fino a metà settembre per completare i lavori di ristrutturazione, in particolare per l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento.

Le SS. Messe e tutte le celebrazioni si svolgono presso l’Auditorium (Oratorio Parrocchiale – via Fratelli Cervi)

Orario SS. Messe (in Auditorium):

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12, 18

 

La logica della piccolezza e del dono

 

 

Il Vangelo della Liturgia di questa domenica narra il celebre episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, con cui Gesù sfama circa cinquemila persone venute ad ascoltarlo (cfr Gv 6,1-15). È interessante vedere come avviene questo prodigio: Gesù non crea i pani e i pesci dal nulla, no, ma opera a partire da quello che gli portano i discepoli. Uno di loro dice: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (v. 9). È poco, è niente, ma a Gesù basta.

Proviamo ora a metterci al posto di quel ragazzo. I discepoli gli chiedono di condividere tutto quello che ha da mangiare. Sembra una proposta insensata, anzi, ingiusta. Perché privare una persona, per lo più un ragazzo, di quello che si è portato da casa e ha il diritto di tenere per sé? Perché togliere a uno ciò che comunque non basta a sfamare tutti? Umanamente è illogico. Ma per Dio no. Anzi, proprio grazie a quel piccolo dono gratuito, e perciò eroico, Gesù può sfamare tutti. È un grande insegnamento per noi. Ci dice che il Signore può fare molto con il poco che gli mettiamo a disposizione. Sarebbe bello chiederci ogni giorno: “Oggi che cosa porto a Gesù?”. Lui può fare molto con una nostra preghiera, con un nostro gesto di carità per gli altri, persino con una nostra miseria consegnata alla sua misericordia. Le nostre piccolezze a Gesù, e Lui fa dei miracoli. Dio ama agire così: fa cose grandi a partire da quelle piccole, da quelle gratuite.

Tutti i grandi protagonisti della Bibbia – da Abramo a Maria fino al ragazzo di oggi – mostrano questa logica della piccolezza e del dono. La logica del dono è tanto diversa dalla nostra. Noi cerchiamo di accumulare e di aumentare quel che abbiamo; Gesù invece chiede di donare, di diminuire. Noi amiamo aggiungere, ci piacciono le addizioni; a Gesù piacciono le sottrazioni, il togliere qualcosa per darlo agli altri. Noi vogliamo moltiplicare per noi; Gesù apprezza quando dividiamo con gli altri, quando condividiamo. È curioso che nei racconti della moltiplicazione dei pani presenti nei Vangeli non compare mai il verbo “moltiplicare”. Anzi, i verbi utilizzati sono di segno opposto: “spezzare”, “dare”, “distribuire” (cfr v. 11; Mt 14,19; Mc 6,41; Lc 9,16). Ma non si usa il verbo “moltiplicare”. Il vero miracolo, dice Gesù, non è la moltiplicazione che produce vanto e potere, ma la divisione, la condivisione, che accresce l’amore e permette a Dio di compiere prodigi. Proviamo a condividere di più, proviamo questa strada che Gesù ci insegna.

Anche oggi il moltiplicarsi dei beni non risolve i problemi senza una giusta condivisione. Viene alla mente la tragedia della fame, che riguarda in particolare i più piccoli. È stato calcolato – ufficialmente – che ogni giorno nel mondo circa settemila bambini sotto i cinque anni muoiono per motivi legati alla malnutrizione, perché non hanno il necessario per vivere. Di fronte a scandali come questi Gesù rivolge anche a noi un invito, un invito simile a quello che probabilmente ricevette il ragazzo del Vangelo, che non ha nome e nel quale possiamo vederci tutti noi: “Coraggio, dona il poco che hai, i tuoi talenti, e i tuoi beni, mettili a disposizione di Gesù e dei fratelli. Non temere, nulla andrà perso, perché, se condividi, Dio moltiplica. Scaccia la falsa modestia di sentirti inadeguato, fidati. Credi nell’amore, credi nel potere del servizio, credi nella forza della gratuità”.

La Vergine Maria, che ha risposto “sì” all’inaudita proposta di Dio, ci aiuti ad aprire il cuore agli inviti del Signore e ai bisogni degli altri.

Dall’Angelus di Papa Francesco del 25 luglio 2021

 


La chiesa è chiusa da lunedì 29 luglio fino a metà settembre per completare i lavori di ristrutturazione, in particolare per l’ installazione del nuovo sistema di riscaldamento.

Le SS. Messe e tutte le celebrazioni si svolgono presso l’Auditorium (Oratorio Parrocchiale – via Fratelli Cervi)

Orario SS. Messe (in Auditorium):

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12, 18

 

Festa di S. Anna 2024

 

 

Programma della Festa di S. Anna 2024

 

  • Lunedì 22 – Martedì 23 – Mercoledì 24 Luglio

    TRIDUO DI PREPARAZIONE ALLA FESTA

    Ore 18,30 S. Messa, con il Rito della Benedizione delle mamme ed i papà in attesa di un figlio.

    Per celebrare la Confessione, i preti saranno a disposizione in chiesa dalle ore 17,30 alle ore 18,30

  • Giovedì 25 Luglio
    Ore 21: S. Messa Solenne, alla quale seguirà la processione con la statua di S. Anna con questo itinerario : Viale Puccini, via Don Minzoni, via Don Bigongiari, via delle Rose, via S. Anna e rientro alla chiesa

  • Venerdì 26 Luglio
    Ore 10: S. Messa, con il Rito della Benedizione delle mamme ed i papà in attesa di un figlio.

    FESTA DEI NONNI E DEGLI ANZIANI presso l’Oratorio in via Fratelli Cervi
    – Ore 17 S. Messa e benedizione degli anziani.
    – Ore 18 Aperitivo per tutti e intrattenimento musicale.

Libretto dei canti per la celebrazione e la processione

Preparativi per la festa patronale del 25 e 26 luglio

La statua è stata tolta dall’urna per essere esposta sull’altare


Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 in chiesa, ore 18 in Auditorium

 

Prese a mandarli

 

 

Il Vangelo di oggi (cfr Mc 6,7-13) narra il momento in cui Gesù invia i Dodici in missione. Dopo averli chiamati per nome ad uno ad uno, «perché stessero con lui» (Mc 3,14) ascoltando le sue parole e osservando i suoi gesti di guarigione, ora li convoca di nuovo per «mandarli a due a due» (6,7) nei villaggi dove Lui stava per recarsi. E’ una sorta di “tirocinio” di quello che saranno chiamati a fare dopo la Risurrezione del Signore con la potenza dello Spirito Santo.

Il brano evangelico si sofferma sullo stile del missionario, che possiamo riassumere in due punti: la missione ha un centro; la missione ha un volto.

Il discepolo missionario ha prima di tutto un suo centro di riferimento, che è la persona di Gesù. Il racconto lo indica usando una serie di verbi che hanno Lui per soggetto – «chiamò a sé», «prese a mandarli», «dava loro potere», «ordinò», «diceva loro» (vv. 7.8.10) –, cosicché l’andare e l’operare dei Dodici appare come l’irradiarsi da un centro, il riproporsi della presenza e dell’opera di Gesù nella loro azione missionaria. Questo manifesta come gli Apostoli non abbiano niente di proprio da annunciare, né proprie capacità da dimostrare, ma parlano e agiscono in quanto “inviati”, in quanto messaggeri di Gesù.

Questo episodio evangelico riguarda anche noi, e non solo i sacerdoti, ma tutti i battezzati, chiamati a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Cristo. E anche per noi questa missione è autentica solo a partire dal suo centro immutabile che è Gesù. Non è un’iniziativa dei singoli fedeli né dei gruppi e nemmeno delle grandi aggregazioni, ma è la missione della Chiesa inseparabilmente unita al suo Signore. Nessun cristiano annuncia il Vangelo “in proprio”, ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano.

La seconda caratteristica dello stile del missionario è, per così dire, un volto, che consiste nella povertà dei mezzi. Il suo equipaggiamento risponde a un criterio di sobrietà. I Dodici, infatti, hanno l’ordine di «non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura» (v. 8). Il Maestro li vuole liberi e leggeri, senza appoggi e senza favori, sicuri solo dell’amore di Lui che li invia, forti solo della sua parola che vanno ad annunciare. Il bastone e i sandali sono la dotazione dei pellegrini, perché tali sono i messaggeri del regno di Dio, non manager onnipotenti, non funzionari inamovibili, non divi in tournée. Pensiamo, ad esempio, a questa Diocesi della quale io sono il Vescovo. Pensiamo ad alcuni santi di questa Diocesi di Roma: San Filippo Neri, San Benedetto Giuseppe Labre, Sant’Alessio, Santa Ludovica Albertini, Santa Francesca Romana, San Gaspare Del Bufalo e tanti altri. Non erano funzionari o imprenditori, ma umili lavoratori del Regno. Avevano questo volto. E a questo “volto” appartiene anche il modo in cui viene accolto il messaggio: può infatti accadere di non essere accolti o ascoltati (cfr v. 11). Anche questo è povertà: l’esperienza del fallimento. La vicenda di Gesù, che fu rifiutato e crocifisso, prefigura il destino del suo messaggero. E solo se siamo uniti a Lui, morto e risorto, riusciamo a trovare il coraggio dell’evangelizzazione.

La Vergine Maria, prima discepola e missionaria della Parola di Dio, ci aiuti a portare nel mondo il messaggio del Vangelo in una esultanza umile e radiosa, oltre ogni rifiuto, incomprensione o tribolazione.

Papa Francesco, Angelus del 15 luglio 2018


Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 in chiesa, ore 18 in Auditorium

 

Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria

 

 

Il Vangelo che leggiamo nella liturgia di questa domenica (Mc 6,1-6) ci racconta l’incredulità dei compaesani di Gesù. Egli, dopo aver predicato in altri villaggi della Galilea, ripassa da Nazaret, dove era cresciuto con Maria e Giuseppe; e, un sabato, si mette a insegnare nella sinagoga. Molti, ascoltandolo, si domandano: “Da dove gli viene tutta questa sapienza? Ma non è il figlio del falegname e di Maria, cioè dei nostri vicini di casa che conosciamo bene?” (cfr vv. 1-3). Davanti a questa reazione, Gesù afferma una verità che è entrata a far parte anche della sapienza popolare: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (v. 4). Lo diciamo tante volte.

Soffermiamoci sull’atteggiamento dei compaesani di Gesù. Potremmo dire che essi conoscono Gesù, ma non lo riconoscono. C’è differenza tra conoscere e riconoscere. In effetti, questa differenza ci fa capire che possiamo conoscere varie cose di una persona, farci un’idea, affidarci a quello che ne dicono gli altri, magari ogni tanto incontrarla nel quartiere, ma tutto questo non basta. Si tratta di un conoscere direi ordinario, superficiale, che non riconosce l’unicità di quella persona. È un rischio che corriamo tutti: pensiamo di sapere tanto di una persona, e il peggio è che la etichettiamo e la rinchiudiamo nei nostri pregiudizi. Allo stesso modo, i compaesani di Gesù lo conoscono da trent’anni e pensano di sapere tutto! “Ma questo non è il ragazzo che abbiamo visto crescere, il figlio del falegname e di Maria? Ma da dove gli vengono, queste cose?”. La sfiducia. In realtà, non si sono mai accorti di chi è veramente Gesù. Si fermano all’esteriorità e rifiutano la novità di Gesù.

E qui entriamo proprio nel nocciolo del problema: quando facciamo prevalere la comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire. Noi controlliamo, con l’abitudine, con i pregiudizi. Finisce che spesso dalla vita, dalle esperienze e perfino dalle persone cerchiamo solo conferme alle nostre idee e ai nostri schemi, per non dover mai fare la fatica di cambiare. E questo può succedere anche con Dio, proprio a noi credenti, a noi che pensiamo di conoscere Gesù, di sapere già tanto di Lui e che ci basti ripetere le cose di sempre. E questo non basta, con Dio. Ma senza apertura alla novità e soprattutto – ascoltate bene – apertura alle sorprese di Dio, senza stupore, la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine, un’abitudine sociale. Ho detto una parola: lo stupore. Cos’è, lo stupore? Lo stupore è proprio quando succede l’incontro con Dio: “Ho incontrato il Signore”. Leggiamo il Vangelo: tante volte, la gente che incontra Gesù e lo riconosce, sente lo stupore. E noi, con l’incontro con Dio, dobbiamo andare su questa via: sentire lo stupore. È come il certificato di garanzia che quell’incontro è vero, non è abitudinario.

Alla fine, perché i compaesani di Gesù non lo riconoscono e non credono in Lui? Perché? Qual è il motivo? Possiamo dire, in poche parole, che non accettano lo scandalo dell’Incarnazione. Non lo conoscono, questo mistero dell’Incarnazione, ma non accettano il mistero. Non lo sanno, ma il motivo è inconsapevole e sentono che è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo. Ecco lo scandalo: l’incarnazione di Dio, la sua concretezza, la sua “quotidianità”. E Dio si è fatto concreto in un uomo, Gesù di Nazaret, si è fatto compagno di strada, si è fatto uno di noi. “Tu sei uno di noi”: dirlo a Gesù, è una bella preghiera! E perché è uno di noi ci capisce, ci accompagna, ci perdona, ci ama tanto. In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali”, che fa solo cose eccezionali e dà sempre grandi emozioni. Invece, cari fratelli e sorelle, Dio si è incarnato: Dio è umile, Dio è tenero, Dio è nascosto, si fa vicino a noi abitando la normalità della nostra vita quotidiana. E allora, succede a noi come ai compaesani di Gesù, rischiamo che, quando passa, non lo riconosciamo. Torno a dire quella bella frase di Sant’Agostino: “Ho paura di Dio, del Signore, quando passa”. Ma, Agostino, perché hai paura? “Ho paura di non riconoscerlo. Ho paura del Signore quando passa. Timeo Dominum transeuntem”. Non lo riconosciamo, ci scandalizziamo di Lui. Pensiamo a com’è il nostro cuore rispetto a questa realtà.

Ora, nella preghiera, chiediamo alla Madonna, che ha accolto il mistero di Dio nella quotidianità di Nazaret, di avere occhi e cuore liberi dai pregiudizi e avere occhi aperti allo stupore: “Signore, che ti incontri!”. E quando incontriamo il Signore c’è questo stupore. Lo incontriamo nella normalità: occhi aperti alle sorprese di Dio, alla Sua presenza umile e nascosta nella vita di ogni giorno.

Papa Francesco, Angelus del 4 luglio 2021


Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 in chiesa, ore 18 in Auditorium

 

Io ti dico: Alzati!

 

 

Il Vangelo di questa domenica (cfr Mc 5,21-43) presenta due prodigi operati da Gesù, descrivendoli quasi come una sorta di marcia trionfale verso la vita.

Dapprima l’Evangelista narra di un certo Giairo, uno dei capi della sinagoga, che viene da Gesù e lo supplica di andare a casa sua perché la figlia di dodici anni sta morendo. Gesù accetta e va con lui; ma, lungo la strada, giunge la notizia che la ragazza è morta. Possiamo immaginare la reazione di quel papà. Gesù però gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36). Arrivati a casa di Giairo, Gesù fa uscire la gente che piangeva – c’erano anche le donne prefiche che urlavano forte – ed entra nella stanza solo coi genitori e i tre discepoli, e rivolgendosi alla defunta dice: «Fanciulla, io ti dico: alzati!» (v. 41). E subito la ragazza si alza, come svegliandosi da un sonno profondo (cfr v. 42).

Dentro il racconto di questo miracolo, Marco ne inserisce un altro: la guarigione di una donna che soffriva di emorragie e viene sanata appena tocca il mantello di Gesù (cfr v. 27). Qui colpisce il fatto che la fede di questa donna attira – a me viene voglia di dire “ruba” – la potenza salvifica divina che c’è in Cristo, il quale, sentendo che una forza «era uscita da lui», cerca di capire chi sia stato. E quando la donna, con tanta vergogna, si fa avanti e confessa tutto, Lui le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata» (v. 34).

Si tratta di due racconti ad incastro, con un unico centro: la fede; e mostrano Gesù come sorgente di vita, come Colui che ridona la vita a chi si fida pienamente di Lui. I due protagonisti, cioè il padre della fanciulla e la donna malata, non sono discepoli di Gesù eppure vengono esauditi per la loro fede. Hanno fede in quell’uomo. Da questo comprendiamo che sulla strada del Signore sono ammessi tutti: nessuno deve sentirsi un intruso, un abusivo o un non avente diritto. Per avere accesso al suo cuore, al cuore di Gesù, c’è un solo requisito: sentirsi bisognosi di guarigione e affidarsi a Lui. Io vi domando: ognuno di voi si sente bisognoso di guarigione? Di qualche cosa, di qualche peccato, di qualche problema? E, se sente questo, ha fede in Gesù? Sono i due requisiti per essere guariti, per avere accesso al suo cuore: sentirsi bisognosi di guarigione e affidarsi a Lui. Gesù va a scoprire queste persone tra la folla e le toglie dall’anonimato, le libera dalla paura di vivere e di osare. Lo fa con uno sguardo e con una parola che li rimette in cammino dopo tante sofferenze e umiliazioni. Anche noi siamo chiamati a imparare e a imitare queste parole che liberano e questi sguardi che restituiscono, a chi ne è privo, la voglia di vivere.

In questa pagina evangelica si intrecciano i temi della fede e della vita nuova che Gesù è venuto ad offrire a tutti. Entrato nella casa dove giace morta la fanciulla, Egli caccia fuori quelli che si agitano e fanno lamento (cfr v. 40) e dice: «La bambina non è morta, dorme» (v. 39). Gesù è il Signore, e davanti a Lui la morte fisica è come un sonno: non c’è motivo di disperarsi. Un’altra è la morte di cui avere paura: quella del cuore indurito dal male! Di quella sì, dobbiamo avere paura! Quando noi sentiamo di avere il cuore indurito, il cuore che si indurisce e, mi permetto la parola, il cuore mummificato, dobbiamo avere paura di questo. Questa è la morte del cuore. Ma anche il peccato, anche il cuore mummificato, per Gesù non è mai l’ultima parola, perché Lui ci ha portato l’infinita misericordia del Padre. E anche se siamo caduti in basso, la sua voce tenera e forte ci raggiunge: «Io ti dico: alzati!». E’ bello sentire quella parola di Gesù rivolta a ognuno di noi: “Io ti dico: alzati! Vai. Alzati, coraggio, alzati!”. E Gesù ridà la vita alla fanciulla e ridà la vita alla donna guarita: vita e fede ad ambedue.

Chiediamo alla Vergine Maria di accompagnare il nostro cammino di fede e di amore concreto, specialmente verso chi è nel bisogno. E invochiamo la sua materna intercessione per i nostri fratelli che soffrono nel corpo e nello spirito.

Papa Francesco, Angelus del 1 luglio 2021


Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 in chiesa, ore 18 in Auditorium

 

23 Giugno 2024 – Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?

 

Rembrandt, Cristo nella tempesta sul lago di Galilea

 

Nella liturgia di oggi si narra l’episodio della tempesta sedata da Gesù (Mc 4,35-41). La barca su cui i discepoli attraversano il lago è assalita dal vento e dalle onde ed essi temono di affondare. Gesù è con loro sulla barca, eppure se ne sta a poppa sul cuscino e dorme. I discepoli, pieni di paura, gli urlano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38).

E tante volte anche noi, assaliti dalle prove della vita, abbiamo gridato al Signore: “Perché resti in silenzio e non fai nulla per me?”. Soprattutto quando ci sembra di affondare, perché l’amore o il progetto nel quale avevamo riposto grandi speranze svanisce; o quando siamo in balìa delle onde insistenti dell’ansia; oppure quando ci sentiamo sommersi dai problemi o persi in mezzo al mare della vita, senza rotta e senza porto. O ancora, nei momenti in cui viene meno la forza di andare avanti, perché manca il lavoro oppure una diagnosi inaspettata ci fa temere per la salute nostra o di una persona cara. Sono tanti i momenti nei quali ci sentiamo in una tempesta, ci sentiamo quasi finiti.

In queste situazioni e in tante altre, anche noi ci sentiamo soffocare dalla paura e, come i discepoli, rischiamo di perdere di vista la cosa più importante. Sulla barca, infatti, anche se dorme, Gesù c’è, e condivide con i suoi tutto quello che sta succedendo. Il suo sonno, se da una parte ci stupisce, dall’altra ci mette alla prova. Il Signore è lì, presente; infatti, attende – per così dire – che siamo noi a coinvolgerlo, a invocarlo, a metterlo al centro di quello che viviamo. Il suo sonno provoca noi a svegliarci. Perché, per essere discepoli di Gesù, non basta credere che Dio c’è, che esiste, ma bisogna mettersi in gioco con Lui, bisogna anche alzare la voce con Lui. Sentite questo: bisogna gridare a Lui. La preghiera, tante volte, è un grido: “Signore, salvami!”. Stavo vedendo, nel programma “A sua immagine”, oggi, Giorno del Rifugiato, tanti che vengono in barconi e nel momento di annegare gridano: “Salvaci!”. Anche nella nostra vita succede lo stesso: “Signore, salvaci!”, e la preghiera diventa un grido.

Oggi possiamo chiederci: quali sono i venti che si abbattono sulla mia vita, quali sono le onde che ostacolano la mia navigazione e mettono in pericolo la mia vita spirituale, la mia vita di famiglia, la mia vita psichica pure? Diciamo tutto questo a Gesù, raccontiamogli tutto. Egli lo desidera, vuole che ci aggrappiamo a Lui per trovare riparo contro le onde anomale della vita. Il Vangelo racconta che i discepoli si avvicinano a Gesù, lo svegliano e gli parlano (cfr v. 38). Ecco l’inizio della nostra fede: riconoscere che da soli non siamo in grado di stare a galla, che abbiamo bisogno di Gesù come i marinai delle stelle per trovare la rotta. La fede comincia dal credere che non bastiamo a noi stessi, dal sentirci bisognosi di Dio. Quando vinciamo la tentazione di rinchiuderci in noi stessi, quando superiamo la falsa religiosità che non vuole scomodare Dio, quando gridiamo a Lui, Egli può operare in noi meraviglie. È la forza mite e straordinaria della preghiera, che opera miracoli.

Gesù, pregato dai discepoli, calma il vento e le onde. E pone loro una domanda, una domanda che riguarda anche noi: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40). I discepoli si erano fatti catturare dalla paura, perché erano rimasti a fissare le onde più che a guardare a Gesù. E la paura ci porta a guardare le difficoltà, i problemi brutti e non a guardare il Signore, che tante volte dorme. Anche per noi è così: quante volte restiamo a fissare i problemi anziché andare dal Signore e gettare in Lui i nostri affanni! Quante volte lasciamo il Signore in un angolo, in fondo alla barca della vita, per svegliarlo solo nel momento del bisogno! Chiediamo oggi la grazia di una fede che non si stanca di cercare il Signore, di bussare alla porta del suo Cuore. La Vergine Maria, che nella sua vita non ha mai smesso di confidare in Dio, ridesti in noi il bisogno vitale di affidarci a Lui ogni giorno.

Papa Francesco, Angelus del 20 giugno 2021


Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 in chiesa, ore 18 in Auditorium

 

16 Giugno 2024 – Cercare e trovare Dio in tutte le cose

 

È il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto (Mc 4,31-32)

 

Le parabole che oggi ci presenta la Liturgia – due parabole – si ispirano proprio alla vita ordinaria e rivelano lo sguardo attento di Gesù, che osserva la realtà e, mediante piccole immagini quotidiane, apre delle finestre sul mistero di Dio e sulla vicenda umana. Gesù parlava in modo facile da capire, parlava con immagini della realtà, della vita quotidiana. Così, ci insegna che anche le cose di ogni giorno, quelle che a volte sembrano tutte uguali e che portiamo avanti con distrazione o fatica, sono abitate dalla presenza nascosta di Dio, cioè hanno un significato. Allora, abbiamo bisogno pure noi di occhi attenti, per saper “cercare e trovare Dio in tutte le cose”.

Gesù oggi paragona il Regno di Dio, cioè la sua presenza che abita il cuore delle cose e del mondo, al granello di senape, cioè al seme più piccolo che ci sia: è piccolissimo. Eppure, gettato in terra, esso cresce fino a diventare l’albero più grande (cfr Mc 4,31-32). Così fa Dio. A volte, il frastuono del mondo, insieme alle tante attività che riempiono le nostre giornate, ci impediscono di fermarci e di scorgere in quale modo il Signore conduce la storia. Eppure – assicura il Vangelo – Dio è all’opera, al modo di un piccolo seme buono, che silenziosamente e lentamente germoglia. E, piano piano, diventa un albero rigoglioso, che dà vita e ristoro a tutti. Anche il seme delle nostre opere buone può sembrare poca cosa; eppure, tutto ciò che è buono, appartiene a Dio e dunque umilmente, lentamente porta frutto. Il bene – ricordiamolo – cresce sempre in modo umile, in modo nascosto, spesso invisibile.

Cari fratelli e sorelle, con questa parabola Gesù vuole infonderci fiducia. In tante situazioni della vita, infatti, può capitare di scoraggiarci, perché vediamo la debolezza del bene rispetto alla forza apparente del male. E possiamo lasciarci paralizzare dalla sfiducia quando constatiamo che ci siamo impegnati, ma i risultati non arrivano e le cose sembrano non cambiare mai. Il Vangelo ci chiede uno sguardo nuovo su noi stessi e sulla realtà; chiede di avere occhi più grandi, che sanno vedere oltre, specialmente oltre le apparenze, per scoprire la presenza di Dio che come amore umile è sempre all’opera nel terreno della nostra vita e in quello della storia. È questa la nostra fiducia, è questo che ci dà forza per andare avanti ogni giorno con pazienza, seminando il bene che porterà frutto. Quant’è importante questo atteggiamento anche per uscire bene dalla pandemia! Coltivare la fiducia di essere nelle mani di Dio e al tempo stesso impegnarci tutti per ricostruire e ricominciare, con pazienza e costanza.

Anche nella Chiesa può attecchire la zizzania della sfiducia, soprattutto quando assistiamo alla crisi della fede e al fallimento di vari progetti e iniziative. Ma non dimentichiamo mai che i risultati della semina non dipendono dalle nostre capacità: dipendono dall’azione di Dio. A noi sta seminare, e seminare con amore, con impegno e con pazienza. Ma la forza del seme è divina. Lo spiega Gesù nell’altra parabola odierna: il contadino getta il seme e poi non si rende conto di come porta frutto, perché è il seme stesso a crescere spontaneamente, di giorno, di notte, quando lui meno se lo aspetta (cfr vv. 26-29). Con Dio anche nei terreni più aridi c’è sempre speranza di germogli nuovi.

Maria Santissima, l’umile serva del Signore, ci insegni a vedere la grandezza di Dio che opera nelle piccole cose e a vincere la tentazione dello scoraggiamento. Fidiamoci ogni giorno di Lui!

Papa Francesco, Angelus del 13 giugno 2021


Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 in chiesa, ore 18 in Auditorium

 

9 Giugno 2024 – Lo stravolgimento della realtà

 

Ecco mia madre e i miei fratelli (Marco 1,34)

 

Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. E non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Così, anche messi di fronte a segni inequivocabili, alcuni, pur di non riconoscere l’azione di Dio attraverso Gesù, attribuiscono quello che egli fa all’opera di Satana. Oppure insistono nel chiedergli un miracolo ancora più grande.

Si tratta di un vero e proprio indurimento del cuore, davanti al quale non c’è nulla da fare. Come sottrarre qualcuno a un atteggiamento che gli impedisce di cogliere ciò che di meraviglioso sta accadendo? Gesù non forza le porte della nostra esistenza: solo noi possiamo aprirgliele ed egli rispetta fino in fondo la nostra libertà. Gesù non vuole conquistare la nostra adesione, o, peggio, sedurci. Il suo modo di comunicare è molto semplice: parole ed azioni. Parole che recano con sé una forza che i cuori semplici sono subito capaci di riconoscere perché sono parole dotate di autorità. Azioni che mostrano come attraverso di Lui Dio può cambiare la vita di una persona.

Parole e azioni manifestano la bontà, la misericordia, la compassione di Dio per l’umanità. Attraverso di esse Dio propone il suo amore. Di fronte a esso ognuno può scegliere: accoglierlo, rifiutarlo o addirittura ignorarlo. L’amore non può essere imposto, e quindi può accadere che uno decida di farne a meno.

Gesù, tuttavia, ci ricorda che la realtà non può essere distorta a proprio piacimento tanto da attribuire quello che egli fa allo spirito del male. E si mostra libero da qualsiasi vincolo che potrebbe in qualche modo limitarlo. La sua famiglia ora non è legata al sangue, ma a qualcos’altro: chi fa la volontà di Dio è suo fratello, sorella, madre. Siamo sicuri che l’indurimento del cuore avvenuto duemila anni fa non rischi di accadere anche oggi, e proprio a noi cristiani?

In fondo c’è una tentazione sempre in agguato, quella di ricondurre Dio alla nostra misura, di eliminare tutto ciò che non può essere facilmente ingabbiato nelle nostre previsioni e nei nostri ragionamenti. Ognuno deve fare la sua scelta ogni giorno, pronto a fare la volontà di Dio. Ecco quello che conta.


Terminati i lavori di ristrutturazione, tutte le liturgie sono celebrate nella Chiesa Parrocchiale.

Orario SS. Messe:

Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12 in chiesa, ore 18 in Auditorium