21 Gennaio 2024 – Convertitevi


La chiesa è chiusa per lavori di ristrutturazione.

Le SS. Messe e tutte le celebrazioni si svolgono presso l’Auditorium (Oratorio Parrocchiale – via Fratelli Cervi)

Orario SS. Messe:
Giorni feriali ore 18.30
Sabato e vigilia delle feste ore 19
Festivo ore 8.30, 10.30, 12, 17


Il sabato, dalle ore 10 alle ore 12, presso l’Auditorium,
Adorazione Eucaristica

In questo orario i preti sono a disposizione per celebrare il
Sacramento della Riconciliazione
Per celebrare il sacramento della Confessione è possibile anche contattare i preti:
Don Paolo 347 3002895 – Don Francesco  347 8804368

 

 

 


 

Venite dietro di me (Marco 1,17)

 

I gesti di Gesù entusiasmano: e come non farlo di fronte alla guarigione e alla misericordia che trasformano un’esistenza e la strappano al potere della malattia e del peccato? E tuttavia Gesù non sembra lanciare un appello per avere popolarità a buon mercato o per trovare spettatori convinti. No, quello che chiede è decisamente di più esige una conversione, un cambiamento profondo del cuore che non lascia le cose come erano prima.

Convertirsi significa volgersi, cuore e mente, verso di lui. Senza rimpianti e senza lamentele.
Disposti a perdere qualsiasi cosa pur di seguirlo. Perché c’è un aspetto doloroso, da non minimizzare: per andargli dietro è necessario sbarazzarsi dei bagagli ingombranti.
Solo se siamo liberi e leggeri possiamo metterci per i suoi sentieri. Il tutto equivale a una vera e propria scommessa. Ne vale veramente la pena? Certo! Perché quello che si riceve è decisamente al di là di ogni immaginazione: non è più questione di pesci, di barche, di reti, ma si tratta di salvare uomini e donne, di sottrarli al potere del male, per far loro gustare una vita nuova.

Questo accade, tuttavia, solo se si è disposti a lasciarsi alle spalle ogni appiglio. Altrimenti ci si condanna da soli ad una esistenza che non assapora né il nuovo né il vecchio. Ed è proprio questo che accade, per lo più, a quanti si accontentano di un cristianesimo “di cornice”, in cui sembra ci sia tutto (almeno dal punto di vista anagrafico) ma manca l’essenziale.
Manca la disponibilità a seguire Gesù, a mettersi per strade nuove e imprevedibili. Non è di tutti i giorni offrire salvezza, trasformare la vita delle persone.
Perché Gesù, è vero, mantiene sempre le sue promesse, anche se non assicura una vita tranquilla, priva di fatiche e di prove.

Nessuno può pretendere di avere beni da lui offerti, se non è pronto a prendere sul serio le sue parole.
“Convertitevi!” è l’appello vibrante a compiere il primo passo, decisivo, verso di lui; a credergli sul serio, tanto da mettere la nostra esistenza nelle sue mani.

14 Gennaio 2024 – Maestro, dove dimori?


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Ecco l’agnello di Dio! (Gv 1,36)

 

Il racconto di oggi non è solo la storia dell’incontro avvenuto tra Gesù e i primi discepoli. Il modo in cui l’evangelista Giovanni ce lo presenta fa chiaramente intendere che in quella esperienza ogni cristiano è invitato a ritrovarsi. E dunque si va ben oltre Andrea, l’altro discepolo, e il fratello di Andrea, Simone.
Si raggiunge l’itinerario della fede di ogni uomo e di ogni donna che si è messo a seguire Gesù.

Tutto comincia con la parola di Giovanni Battista, un’indicazione semplice e netta, estremamente chiara, una sorta di “dito puntato” su Gesù, per rivelarne l’identità: “Ecco l’agnello di Dio!”. Sì, anche all’inizio della nostra storia di credenti c’è un dito puntato, c’è qualcuno che ha assunto lo stesso ruolo del Battista e ci ha indicato in Gesù l’inviato di Dio. I nostri genitori, un prete, una suora, una catechista, un educatore che ha avuto un posto importante nella nostra vita.

Questo, però, non poteva bastare. I due, infatti, hanno dovuto mettersi in movimento, decidere di seguire Gesù, di andargli dietro. E dietro questo “camminare” c’è una realtà che sta alla base di ogni esperienza di fede. Credere comporta uno stacco, una direzione, un dinamismo: non si può restare lì dove si è, non si può fare i sedentari. Quella parola che ci ha raggiunto ci “mobilita”, ci induce a lasciarci condurre dal desiderio.

E’ l’atteggiamento di chi cerca, di chi non si può accontentare di quello che ha e di quello che è. Una decisione che non passa inosservata: Gesù se ne accorge e ai due pone una domanda: “che cosa cercate?”.
Che cosa vi muove? Perché mi seguite? La risposta non è precisa, è dettata non dal bisogno di cercare delle verità, ma di incontrare in modo autentico l’inviato di Dio.
Ed è per questo che i due affermano: “Dove dimori?”. Il loro non è un approccio alle idee, ma una adesione globale: alla persona e al suo progetto.
La risposta non può che essere sulla stessa lunghezza d’onda: “Venite e vedrete”. State con me, prendete tutto il tempo necessario per conoscermi, per entrare nel mistero.
E’ singolare che Gesù non manifesti la sua identità, non faccia proclamazioni, ma inviti a “stare con lui”.
Singolare pedagogia, che troppe volte la nostra catechesi, frettolosa e dogmatica, ha dimenticato.
Perché l’incontro avvenga ci vuole del tempo. L’importante non è “capire”, “comprendere”, ma “partecipare”, “stare insieme”.
Perché qui non si tratta di apprendere una lezione ma di incontrare colui che cambia il nostro nome perché cambia la nostra vita.

7 Gennaio 2024 – La missione comincia


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Vide squarciarsi i cieli e lo Spirito scendere verso di lui (Mc 1,10)

 

Gesù ha circa 30 anni e fino a quel momento non ha fatto parlare di sé. La sua è stata una esistenza del tutto normale in un villaggio della Galilea. Nazaret. E’ lì che l’hanno visto crescere e diventare un uomo. Senza sconti, senza passaggi miracolosi, senza far presentire nulla di strano.

Inserito nella vita di povera gente, che ben conosce la fatica di ogni giorno, le incertezze, la fame, le malattie. Partecipe delle vicende di un popolo, asservito dal potere dei romani, ma anche nutrito di Scritture sacre e della speranza che esse accendono nel cuore dei credenti.

Tra i cristiani di oggi, molti si domanderanno: perché ha atteso tanto? Non ci avremmo guadagnato tutti se avesse cominciato prima la sua predicazione, se avesse compiuto un numero maggiore di miracoli, se avesse lasciato il tempo di farsi conoscere meglio? Gesù, però, non è venuto per questo: si è fatto uomo per condividere in tutto e per tutto le nostre vicende.

Lui, Gesù, ha voluto “stare con noi”, conoscere la nostra esistenza, partecipare effettivamente alla nostra esperienza, dal di dentro. Ora è arrivato il momento.
Ed è al fiume Giordano che ha inizio la sua avventura “pubblica”. Proprio lì, dove si è riversato un popolo che è “in attesa”. Proprio lì dove c’è un profeta che è diventato un grido potente lanciato a tutti. Proprio lì dove c’è gente disposta a cambiare vita e lo dimostra attraverso il gesto del battesimo.

Anche Gesù si sottomette a quel rito, anche se in lui non c’è peccato, nulla di cui pentirsi e purificarsi. Ma proprio per quella gente è venuto e vuole condividere anche questo.
Viene così il momento della “manifestazione”. Nella preghiera – in questo come in tanti momenti fondamentali della sua esistenza – Gesù accoglie il dono: è lo Spirito che discende su di lui, è la voce del Padre che lo rincuora.

Ora può partire, ora può cominciare a diffondere la Buona notizia: in fondo questa è la volontà del Padre, è il suo disegno di salvezza.
Ed è per questo che lo Spirito lo conduce con la sua forza e la sua tenerezza.

31 Dicembre 2023 – I primi passi di una famiglia


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Andre Mantegna, Presentazione al tempio

 

Portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore (Lc 2,22)

 

Nel brano evangelico di Luca, sono passati 40 giorni dalla nascita di Gesù, in un alloggio di fortuna, a Betlemme. Giuseppe gli ha dato il nome che Dio aveva scelto per lui: l’ha chiamato Gesù perché attraverso di lui ciascuno potrà ricevere salvezza e grazia.

Ora Maria e Giuseppe con il loro piccolo si recano al tempio di Gerusalemme. Si tratta di un gesto tradizionale, prescritto dalla Legge di Mosè. E tuttavia il rito che compiono fa capire già con quale atteggiamento quest’uomo e questa donna guardano al loro bambino. Non è una loro proprietà, come invece è sancito dal diritto romano. Su di lui essi non hanno un potere assoluto e tantomeno quello di accoglierlo o rifiutarlo. Ogni figlio è un dono di Dio. Un dono da accogliere con gioia e gratitudine, un dono affidato alle cure di un padre e di una madre, un dono di Dio perché solo a lui appartiene la nostra esistenza. Gesù è in modo del tutto particolare un dono: il dono di Dio all’umanità. Non realizzerà i loro sogni e le loro attese, dunque, ma il progetto di Dio. A loro spetta solo il compito di crescerlo e di prepararlo alla vita, non lasciandogli mancare nulla di quelle che è indispensabile.
Quello che accade nel Tempio aiuta Maria e Giuseppe ad andare oltre al rito previsto: lì, nella casa di Dio, il Messia incontra infatti il suo popolo, coloro che l’attendono con tutto il cuore. Lì viene riconosciuto dal vecchio Simeone come un dono per tutti i popoli: la salvezza, la luce offerta ad ogni uomo.

E tuttavia in quell’incontro di gioia non manca una zona oscura, che pur deve essere menzionata.
Questo dono di grazia verrà rifiutato e c’è dunque un percorso drammatico che metterà alla prova Gesù stesso, ma anche quelli che gli vogliono bene. Compiuto il rito la famiglia torna al suo paese, si immerge nel tessuto quotidiano di un villaggio: la missione di Maria e Giuseppe si compie nello scorrere dei giorni mentre Gesù cresce in sapienza e grazia.

In loro, nei loro atteggiamenti e nel loro impegno, nella loro gratitudine e nel loro amore ogni papà e ogni mamma sono invitati a riconoscersi per fare della loro famiglia un frammento di Nazaret, per affrontare con la stessa fiducia le prove e le gioie.


Il Signore sia davanti a te per guidarti
Il Signore sia accano a te per proteggerti nel cammino,
Il Signore sia dietro di te per custodirti nel male,
Il Signore sia dentro di te per consolarti,
Il Signore ti benedica, ti protegga nel suo amore,
Ti sorrida e ti doni la pace.
Con la forza della Sua presenza
tu sia costruttore di una nuova umanità.

AUGURI DI BUON ANNO!

24 Dicembre 2023 – Natale


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Un avvenimento paradossale

 

Sembra proprio che Luca lo faccia apposta. Il Vangelo parte dal cuore dell’impero di Roma, dove Ottaviano che è Cesare (la guida) e Augusto (il divino) esercita la sua autorità.
Nell’iscrizione del 9 d.C. ritrovata a Priene, in Asia Minore, si dice che il giorno della sua nascita, il 23 settembre, “è stato per il mondo l’inizio dei lieti annunci (letteralmente: vangeli) ricevuti grazie a lui”.
Il censimento “di tutta la terra” è, con ogni evidenza, un atto di autorità, una dimostrazione di potere: chi comanda conta i suoi sudditi e lo fa per una ragione concreta, determinare le tasse che potrà raccogliere da quanti si sono sottomessi.
Giuseppe, assieme alla moglie Maria, incinta e ormai prossima al parto, è uno dei tanti obbligati a obbedire al decreto e a dare il suo nome nel paese di origine. Per questo affronta i disagi del viaggio, resi ancor maggiori dal fatto che proprio lì, a Betlemme, Maria dà alla luce il suo primogenito, Gesù, molto probabilmente nella stalla attigua a una casa. Per questo la culla del neonato è una mangiatoia.
E’ possibile immaginare una distanza maggiore tra quella esistente tra i palazzi del potere e il luogo del parto? Eppure, sembra avvertirci l’evangelista Luca, non dobbiamo fermarci alle apparenze. Al momento in cui egli redige il suo Vangelo le cose appaiono già ben diversamente. La famiglia di Ottaviano, la gens Iulia, non è più alla guida dell’impero. E’ finita miseramente e molti dei suoi membri hanno conosciuto una morte tragica.
Stranamente, invece, sta crescendo il numero di coloro che Credono che proprio quel bambino sia il Salvatore, il Cristo, il Signore. E che il vero Vangelo, la Buona novella destinata a tutti sia proprio la sua nascita, avvenuta quel giorno a Betlemme.
A distanza di 2000 anni, l’imperatore è relegato nei libri di storia, mentre Gesù continua a essere considerato da molti colui che, solo, può strappare al potere del male e della morte, l’unico a cui si può affidare la propria vita, per realizzarla in pienezza, per l’eternità.
Natale è tutto qui: è questo paradosso che continua ad attirare l’attenzione delle persone, perché risponde alla loro attese più profonde, alle loro speranze.
Dio che ci visita e condivide la nostra fragilità umana.
Dio che ci viene incontro, ma nella povertà.
Dio che viene a donarci il suo amore: gratuito, disinteressato, senza secondi fini.
Venite avanti: nel suo cuore c’è posto per tutti!

Signore, Dio onnipotente, che ci avvolgi della nuova luce del tuo verbo fatto uomo, fa che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito.

Auguri a tutti di Buon Natale!
Don Paolo e Don Francesco

17 Dicembre 2023 – Giovanni il testimone


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Terza candela dell’Avvento, detta la “Candela dei Pastori” : è la candela della gioia, poiché furono i pastori i primi ad adorare il bambino Gesù e a diffondere la buona novella.

 

Il suo nome era Giovanni (GV 1,6)

 

Il ruolo di Giovanni il Battista è quello di tutti i profeti: ricevere una Parola per trasmetterla, leggere la storia con gli occhi di Dio, richiamare l’alleanza e le sue leggi da rispettare. Ricordare che Dio è vicino ed è all’opera per noi.

Il Battista è solo una voce che grida nel deserto e invita a rendere diritta la via del Signore. E’ un testimone della luce vera che viene nel mondo per illuminare ogni uomo. Non è lui la luce. Lui, il profeta e testimone, davanti alla luce è chiamato a farsi piccolo e a scomparire.

Non è casuale che la Liturgia abbia collocato la nascita di Gesù il 25 dicembre, quando la quantità di luce di un giorno, dopo il solstizio d’inverno, torna ad aumentare, e la nascita di Giovanni il Battista al 24 giugno, quando la quantità di luce di un giorno, dopo il solstizio d’estate, tende a diminuire.

Giovanni, arrivato il momento, si rallegrerà di uscire di scena e di indicare Gesù come l’Agnello di Dio, venuto a togliere i peccati del mondo.

Come vivere questi giorni che ci separano dal Natale? Con lo stesso spirito di Giovanni: pronti a rendere testimonianza a Gesù, il Figlio di Dio venuto nella carne; disposti a riconoscere la sua grandezza e proprio per questo a cambiare vita, a volgere decisamente sguardo e cuore verso di lui.

10 Dicembre 2023 – Colui che è più forte di me…


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Seconda candela di Avvento: è detta “Candela di Betlemme” ed è la candela della chiamata universale alla salvezza

 

Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto (Mc 1,4)

 

Giovanni il Battista deve “preparare la via”, perché non accada di mancare l’incontro decisivo della propria esistenza.

Gesù stesso sarà la “via” da percorrere se vogliamo giungere alla salvezza, alla pienezza della vita. Il Battista è una voce che grida per destare coloro che, presi da tante cose, corrono il pericolo di non cogliere ciò che di straordinario sta per accadere. Gesù è la sua “Parola fatta carne”, la Parola che salva, strappa all’oscurità e al potere del male.

Il Battista invita a compiere un gesto di penitenza, a prepararsi adeguatamente alla venuta dell’inviato di Dio. Gesù opererà con la forza dello Spirito che guarisce, consola e trasforma la vita di una persona.

In questa seconda tappa dell’Avvento siamo invitati a prendere sul serio il messaggio del Battista, a riconoscere che Gesù , venuto nella carne, è in grado di trasfigurare la nostra vita e la storia dell’umanità.

Lasciamoci destare da questa voce che grida, che ci obbliga a scrollarci di dosso il torpore e a renderci disponibili al nuovo.

Lasciamo che il Battista apra i nostri occhi sulla realtà che ci sta intorno. Guidati dalla Parola potremo allora riconoscere tanti segni rincuoranti dell’azione dello Spirito.

Il Regno di Dio non è un’illusione: qualcosa si sta già movendo. Si tratta solo di assecondare il cambiamento, cominciando da noi stessi, dai nostri atteggiamenti, dalle nostre scelte.

3 Dicembre 2023 – Avvento, “terapia” di luce


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La prima candela di Avvento è detta “del Profeta”, poiché ricorda il profeta Michea che ha predetto la nascita del Messia a Betlemme

 

Nel periodo dell’anno rallentato dall’autunno, siamo progressivamente privati di una dose giornaliera di luce. Questa mancanza può renderci tristi oppure angosciati. Il grigiore delle giornate sempre più corte invade le case, i luoghi di lavoro m anche i cuori. Ecco perché il Tempo dell’Avvento diviene una vera terapia di luce.
Fin dall’inizio questo itinerario è stato considerato come una progressione verso la Luce: seguendo le 4 domeniche, essa cresce nel cuore delle persone, per immergerle nel giorno di Natale in un oceano di luce benefica. In questo percorso i credenti sono guidati dalle 4 candele della corona di Avvento.
Ogni domenica ne viene accesa una e il gesto è accompagnato da brevi parole. Più ci si avvicina al Natale, più c’è luce, finchè ci ritroviamo a contemplare Colui che è la luce del mondo. Un po’ alla volta tristezze e paure si trasformano in momenti di gioia e di speranza: colui che è il sole dell’universo non tramonta e continua a rischiarare l’orizzonte oscuro del nostro mondo. In questa prima domenica di Avvento siamo invitati ad avere occhi aperti, cuore desto, mani operose.

Vegliare significa proprio questo: avere gli occhio aperti, il cuore aperto e le mani operose.
Gli occhi aperti sulla realtà che ci circonda, su ciò che accade attorno a noi, nella piccola e grande storia a cui apparteniamo. Ma ci vuole anche un cuore desto, tenuto continuamente sveglio dalla fede e dalla speranza.
La fede in colui che ha nelle sue mani le sorti del mondo. Perché è proprio Lui, il Crocifisso risorto, l’unico Signore della storia.

Affidarsi a lui significa vivere un’esistenza nuova, libera dall’illusione del potere e della forza, affrancata dalla seduzione di possedere e di accumulare, guidata da un senso nuovo che trasforma ogni pensiero e ogni progetto.

E quando gli occhi sono aperti e il cuore è desto, le mani diventano operose: capaci di compiere il bene, di soccorrere, di aiutare, di consolare, di rialzare, di asciugare le lacrime, di portare gli uni i pesi degli altri, di costruire un pezzetto di mondo nuovo.

26 Novembre 2023 – Alla fine della vita ciò che conta è avere amato


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Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare (Mt 25,35)

 

Alla fine della nostra vita, il criterio di valutazione della nostra esistenza sarà estremamente concreto: abbiamo sfamato quelli che erano senza cibo, abbiamo accolto chi era straniero o privo dell’essenziale, abbiamo visitato e soccorso chi era malato o in carcere?

In questo caso ci sentiremo chiamati “benedetti”. Se invece abbiamo ignorato le richieste di chi aveva bisogno di pane e di vestiti, di una casa e di un lavoro, di attenzione e di aiuto, allora verremo designati come “maledetti”.

In quel frangente non potremo avvalerci di bei discorsi o di professioni di fede perfette, a parlare saranno i fatti. E Gesù ci ricorderà che proprio a Lui che abbiamo donato o negato la compassione e tutto quello che essa comporta. Invano, allora, cercheremo delle scuse. Le nostre omissioni appariranno in tutta la loro gravità perché riveleranno il nostro egoismo, la nostra durezza di cuore e scopriremo che tante persone, che giudicavamo lontane da Dio, avevano invece accordato a Gesù quello che chiedeva, lo avevano accolto, sfamato, dissetato, vestito, anche senza saperlo.

In effetti la reazione degli uni e degli altri è improntata proprio alla meraviglia. Meraviglia di chi si è dimostrato generoso. E meraviglia di chi invece ha chiuso il cuore e la borsa.
Chi si aspettava, infatti, che Gesù avesse assunto i panni del povero, del sofferente, dell’abbandonato? E’ proprio questo, in fondo, che sconcerta…
Abituati a considerare Dio come potente e autosufficiente, facciamo fatica a riconoscerlo nei panni di chi manca del necessario e ha bisogno di essere aiutato.
Ma è proprio questa la strada che Gesù ha percorso. Egli si è fatto povero per condividere la nostra miseria e la nostra fragilità.
La strada da lui percorsa è proposta anche a noi.

19 Novembre 2023 – Impossibile vivere di rendita


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Chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni (Mt 25,14)

 

La fede non è un oggetto prezioso, da conservare così com’è, ma una realtà viva, come una pianta, che domanda cure continue e attenzione costante. Nessuno, dunque, può ritenere di avere accumulato già meriti a sufficienza davanti a Dio tanto da poter starsene tranquillo senza far niente.

La parabola dei talenti, in fondo, ci mette proprio davanti a questo. E tuttavia il suo messaggio vuole nello stesso tempo liberare Dio dall’accusa di essere un padrone esoso.

Il racconto, infatti, comincia nel segno della fiducia: quell’uomo che parte per un lungo viaggio, deve avere tanta fiducia nei suoi servi se mette nelle loro mani un vero tesoro. Questa fiducia è determinante perché è proprio essa che genera una risposta attiva e operosa da parte dei primi due. Perché rischiare? Perché alla fiducia si risponde con la fiducia…In effetti, poi, il servo fannullone dimostra proprio il contrario della fiducia, cioè la paura: “Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra…” Ma c’è un altro particolare: quel padrone non “sfrutta” i suoi servi. Tanto è vero che non ritira i guadagni che hanno realizzato, ma li affida ancora a loro, li lascia nelle loro mani. L’operosità del discepolo, quindi, torna tutto a suo vantaggio, Annunciare il Vangelo con le parole e con le opere, trasmettere la fede, testimoniarla, non impoverisce colui che affronta questa fatiche, ma al contrario arricchisce la sua esistenza, facendogli conoscere una pienezza sconosciuta.

Colui invece, che si limita al minimo, finisce col perdere tutto.